Ai tempi della mia infanzia la palacinca non esisteva ancora: c'era solo il più semplice omlet o amlet (anche omblet, omelet, amblet) che noi avevamo tolto dal francese omelette (pron. omlèt) “frittata".

Era rigorosamente pieno di marmellata e apparteneva al dolce armamentario che le donne d’allora impiegavano per affrettare al desco familiare i frugoli non ancora assillati dall’obesità e — perché no? — i mariti attratti iin troppo dalle osterie. File ordinate e compatte di amlet riempivano le piàdine domenicali, quando le trattorie e le osmize del Carso non erano ancora così popolari come lo divennero in seguito, e d’assalto, invece, erano prese quelle dell'immediata periferia triestina: Sant’Anna, Servola, San Luigi, Coloncovez...

Si arrivava da casa con i ovi duri, la came apanada e gli amlet appunto; si ordinava solo il radicchio, il vino — per i pici la moscatela — il pane e infine il coperto (da qui l'uso di pagarlo, il coperto). Poi venne il benessere: di portare il cibo da casa non si parlò più e, dalla metà degli anni 60 in poi, il ceto popolare, in automobile, cominciò a frequentare prima le trattorie del Carso, quindi, secondo imperscrutabili inclinazioni geogastronomiche, parte di esso si diresse a nord, verso il Friuli e parte a sud, verso l'Istria. Di questi ultimi, sono quelli che passavano la Dragogna i responsabili della sostituzione del termine amlet con palacìnca. Nelle gostilne croate, infatti, in quegli anni (ma spesso ancora oggi) unico dolce disponibile era la palacinka.

E cosi l'amlet andò in pensione e, complici quei triestini che gli preferirono la voce croata, il termine si diffuse anche nelle trattorie del Carso. Termine croato, quindi? No, la parola, infatti, e anche il dolce stesso, derivano dal tedesco austriaco Palatschinke (pron. palacìnche). Allora sarà germanica l’origine? Nemmeno, poiché, essendo la pasticceria austriaca in gran parte di derivazione ungherese, Palatschinke non è altro che la tedeschizzazione dell’ungherese palacsinta (pron. pàlacinta). Nome ungherese, insomma? Nemmeno questo, poiché l’ungherese lo ha preso dal rumeno placinta "frittata", e il rumeno, essendo una lingua d'origine latina, ovviamente lo ha preso dal latino placenta(m), “ focaccia". Le parole viaggiano, come vedete, e la palacinca alla fine è tornata a casa sua.

Nereo Zeper (il Piccolo, 10 maggio 2011)

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